Il naufragio del 3 ottobre 2013 scosse le coscienze del nostro continente, mettendo a nudo le conseguenze dell'assenza di una reale politica migratoria. Purtroppo a distanza di nove anni si continua a morire nel Mediterraneo centrale ed orientale, lungo la rotta atlantica e balcanica, nel Canale della Manica e lungo i confini fra Polonia e Bielorussia. Dal quel 2013 oltre 22.000 persone hanno perso la vita nel solo Mediterraneo.
I morti delle migrazioni spesso non hanno nome, non hanno volto, non hanno storia. Corpi sepolti senza identità, vittime senza nome, persone a cui è stato negato un futuro. Nella convinzione che “non ci sia futuro senza memoria” chiediamo l’istituzione di una giornata europea della memoria e dell’accoglienza. Per commemorare le vittime, ma anche e soprattutto per il dovere di conoscere con l‘obiettivo sviluppare programmi educativi per infondere la memoria di ciò che è accaduto nelle generazioni future e impedire – attraverso una società che accoglie e include - che continui a ripetersi.
Ci sono diverse crisi umanitarie aperte nel mondo, anche nel Mediterraneo c’è una crisi senza precedenti che dura da anni, un’emergenza umanitaria continua. Come Comitato 3 ottobre chiediamo alle Istituzioni di dare attuazione con apposite decisioni del Consiglio alla Direttiva 2001/55/CE senza alcuna distinzione, a tutte quelle situazioni, conflitti o gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, attuali e future, che generino un afflusso massiccio di sfollati provenienti da paesi terzi che non possano rientrare nel loro paese d'origine.
Proviamo a dare anche un’identità a quei corpi senza vita. Uomini che spesso si sono imbarcati senza parenti, né amici o conoscenti. Il vero problema è raggiungere i parenti delle vittime per incrociare i dati. L’obiettivo è quello di raggiungere ogni piccolo villaggio, ogni gruppo familiare che ha un parente che ha attraversato il Mediterraneo. Solo da loro possono arrivare quei preziosi dati ante mortem che potranno dare un nome a chi adesso è solo un numero.
In almeno 12 paesi dell’Unione Europea distribuire alimenti e bevande, dare un passaggio, comprare un biglietto o ospitare una persona migrante sono comportamenti spesso trattati come ‘favoreggiamento dell’immigrazione clandestina’ per i quali è possibile ricevere una multa o essere arrestati dalle autorità giudiziarie. Questo è possibile perché la normativa non chiarisce la differenza tra traffico, contrabbando e assistenza umanitaria.
Con queste politiche, l’obiettivo di molti governi è dunque di scoraggiare i volontari a fornire aiuto umanitario alle persone migranti che ne hanno bisogno, poiché si pensa che questo aiuto possa costituire un fattore di attrazione per i flussi migratori. Per affrontare questa criminalizzazione dell’aiuto umanitario, auspichiamo che la Commissione Europea modifichi la direttiva dell’Unione Europea sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina(2002/90/CE), per impedire agli stati membri di imporre sanzioni a cittadini o ONG che forniscono assistenza umanitaria senza scopo di lucro a coloro che ne hanno bisogno.
Molte persone migranti sono vittime di sfruttamento lavorativo, abusi o violazioni dei diritti umani, in particolare alle frontiere, ma hanno difficoltà nell’accesso alla giustizia. Andrebbero rafforzati i meccanismi di tutela e di ricorso nel caso di violazioni dei diritti umani o di abusi da parte delle forze di polizia nazionali e di quelle di paesi terzi.
Auspichiamo la protezione di tutte le persone, indipendentemente del loro status, e la garanzia dell’accesso alla giustizia, introducendo negli stati membri meccanismi che permettano alle vittime di presentare ricorsi e sporgere denunce in modo sicuro, assieme ad una tutela in caso di violazioni dei diritti fondamentali alle frontiere.