Viaggi organizzati, taxi del mare, pull factor per le partenze, centri sociali galleggianti, sbarchi selettivi, carico residuale. Ancora una volta prevalgono gli slogan, prevale la semplificazione del tweet. Ma le parole e la scelta dei termini contano e il loro significato e il loro “peso” aumenta, se queste parole sono utilizzate da Ministri della Repubblica Italiana e da alte cariche dello Stato.
Come Comitato 3 ottobre ribadiamo il nostro apprezzamento per il prezioso lavoro di soccorso in mare effettuato dalle ONG, dalla Guardia Costiera Italiana e dai comandanti delle navi commerciali. Senza il loro prezioso contributo il numero di morti nel Mediterraneo centrale e dispersi sarebbe molto più alto.
Ma ci teniamo a fare chiarezza.
Scegliere e acquistare un biglietto aereo può sembrare una scelta semplice e facilmente percorribile. Non è così per le persone che soccorriamo, che arrivano quasi sempre da contesti di conflitto, estrema povertà e violenza. Per poter salire su un aereo occorre essere in possesso di un passaporto regolarmente rilasciato e aver ottenuto un visto, cosa che per molti migranti è difficile se non impossibile. Per queste persone, il diritto alla mobilità è uno dei tanti diritti che viene negato. Nessuno affronterebbe consapevolmente un viaggio così pericoloso se non fosse l’unica via percorribile per cercare sicurezza e futuro.
Negli ultimi dodici mesi, dei 95.000 arrivi in Italia, solo il 14% è riconducibile alle attività di ricerca e soccorso delle navi delle ONG presenti nel Mediterraneo. Il resto degli arrivi è avvenuto in maniera autonoma oppure grazie ai soccorsi effettuati dalla Guardia Costiera Italiana o da mercantili privati. (Fonte: ISPI). Significa che quasi 9 migranti su 10 raggiungono le coste italiane senza l’aiuto delle imbarcazioni delle ONG e che, quindi, anche senza ONG in mare queste persone sarebbero arrivate lo stesso in Italia.
Non sono le ONG a decidere i porti di sbarco, ma le autorità marittime competenti come previsto dal diritto internazionale e marittimo. Il diritto internazionale prevede espressamente che le persone soccorse in mare debbano essere portate in un luogo sicuro, che l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) e la Commissione Europea hanno stabilito essere il porto sicuro più vicino. La Libia non è un porto sicuro, come hanno affermato anche l’UNHCR, l’Alto commissariato delle nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) e il Segretario Generale dell’ONU. La Tunisia è un paese meno pericoloso della Libia, ma resta al di sotto dei livelli minimi di sicurezza.
Secondo le linee guida dell’UNHCR, un porto, per considerarsi sicuro, deve essere un luogo in cui:
Non sono le ONG a decidere dove portare le persone soccorse. Sono le autorità degli stati che coordinano i soccorsi a indicare il porto in cui sbarcare, che per legge deve essere il luogo sicuro più vicino ovvero, per i soccorsi nel Mediterraneo centrale, l’Italia o Malta. Una volta sbarcate in un luogo sicuro, possono iniziare le procedure per la richiesta di asilo e il ricollocamento in altri paesi.
Diversi studi hanno ampiamente dimostrato che la presenza delle navi di soccorso non incentiva le partenze e non facilita il lavoro dei trafficanti, tanto che gli sbarchi continuano anche quando non ci sono navi umanitarie operative. Tutti i salvataggi nel Mediterraneo sono realizzati nel rispetto del diritto internazionale e marittimo e in coordinamento con le autorità marittime di riferimento, che dopo il salvataggio indicano dove sbarcare le persone soccorse. Una volta in porto, gli uomini, le donne e i bambini soccorsi vengono affidati alle autorità nazionali, che li prendono in carico nei porti di sbarco e avviano le procedure di accoglienza e ricollocamento.
Tutti i soccorsi avvengono in acque internazionali nel Mediterraneo centrale tra la Libia, Malta e l’Italia, dove si verificano la maggior parte dei naufragi.